di Saverio Santi
Un formaggio che si scioglie dolcemente, diventando tutt’uno con gli ingredienti del piatto. Una meraviglia! Una magica fusione di sapori che arricchisce i nostri piatti anche di sostanze nutritive.
Ma cosa succede quando il formaggio si scoglie?
Il formaggio aggiunge sapore, consistenza e sostanze nutritive a molti dei nostri piatti preferiti. Se utilizzato correttamente, il formaggio fuso può diventare cremoso, liscio e completamente integrato nel resto del piatto. È la chiave per fonduta e frico, cacio e pepe, amatriciana, carbonara… La classica pizza margherita è impensabile senza la giusta mozzarella o scamorza. Eppure alcuni formaggi sono scelte terribili in cucina, quando non si sciolgono bene o diventano sgradevolmente filanti. Ecco cosa dovete sapere per scegliere i migliori formaggi fondenti che rendano il vostro piatto il più cremoso e squisito possibile (D. Joachim, A. Schloss, Fine Cooking 133, 2015).
Cosa succede quando le proteine sono riscaldate?
Quando si riscaldano le proteine, il gomitolo proteico naturale si srotola parzialmente e le catene proteiche s’intrecciano disordinatamente. Poiché la loro forma naturale è cambiata, diventano proteine “denaturate”. Inizialmente, queste proteine denaturate sono umide e tenere perché molta acqua rimane intrappolata all’interno. Se continuiamo a riscaldare, i legami si stringono, spremono l’umidità e le proteine diventano secche e resistenti.
Cosa succede quando il formaggio “si scioglie”?
Innanzitutto, a circa 30 °C, il grasso solido inizia a fondere, il formaggio si ammorbidisce e le gocce di grasso fuso salgono in superficie. Man mano che il formaggio diventa più caldo, i legami che tengono insieme le caseine si rompono e il formaggio diventa un fluido denso. Questa fusione completa si verifica a circa 55 °C per i formaggi a pasta molle e alta umidità come la mozzarella, a circa 65 °C per formaggi stagionati a bassa umidità come la fontina e l’emmenthaler, a 80 °C per formaggi stagionati a pasta dura e più bassa umidità come il Parmigiano- Reggiano.
Quali sono i migliori formaggi fondenti?
Nella pizza, la mozzarella si scioglie completamente, mentre granelli di Parmigiano-Reggiano rimangono separati sulla stessa pizza anche dopo che il Parmigiano si è sciolto. Molti fattori influenzano la capacità di fusione. Uno è il contenuto di umidità. I formaggi ad alta umidità, come la mozzarella e il brie, fondono più facilmente rispetto ai formaggi a pasta dura perché le proteine sono debolmente legate e contengono molta acqua. I formaggi a pasta dura contengono così poca acqua che quando si sciolgono non fondono completamente.
La stagionatura di un formaggio
influisce anche sul modo in cui si scioglie. Una colla di ioni di calcio, il fosfato di calcio, tiene insieme le molecole di caseina. Quando il formaggio viene riscaldato, la colla di calcio si dissolve e le molecole di caseina si separano. Nel formaggio fresco non stagionato, le molecole di caseina sono grandi ed elastiche e tendono ad aggrovigliarsi in filamenti, motivo per cui la mozzarella fresca e l’Emmenthaler fusi sono filanti (N. F. Olson et al. Netherlands Milk and Dairy Journal 1996, 50, 279-294).
Durante l’invecchiamento, le molecole di caseina vengono attaccate dagli enzimi che spezzano la caseina in piccole parti. Quando la Fontina o un formaggio stagionato come il Cheddar fondono, questi piccoli pezzi di caseina scorrono senza aggrovigliarsi e il formaggio fonde senza problemi.
Infine, il contenuto di grassi e l’acidità svolgono un ruolo cruciale nel modo in cui un formaggio fonde. Formaggi come il Castelmagno e il Monte Veronese sono relativamente ricchi di grassi, il che li rende ottimi fondenti. Tuttavia, i formaggi ad alto contenuto acido, come l’emmenthaler e la groviera, diventano filanti. I formaggi cagliati con acido, piuttosto che con caglio animale, come la ricotta, i formaggi di capra freschi, il paneer indiano, non si sciolgono affatto.
A differenza dei formaggi fondenti ottenuti con caglio animale, i formaggi a cagliatura acida sono tenuti insieme non dal calcio, ma dalle stesse proteine della caseina che si legano l’una all’altra. Quando si scaldano questi formaggi, i legami proteici si rafforzano, trattenendo l’acqua. Quando l’acqua evapora, non rimane abbastanza umidità nel formaggio per permettergli di fondere e al contrario le proteine solidificano ulteriormente. Ecco perché la ricotta e i formaggi di capra freschi mantengono la loro forma nei ravioli cotti.
Cosa fare (e non fare) per fondere al meglio il formaggio
Portare il formaggio a temperatura ambiente permette di raggiungere il suo punto di fusione più rapidamente, evita un improvviso sbalzo di temperatura che potrebbe far coagulare la caseina troppo rapidamente e spremere il grasso, causando grumi, una consistenza grassa o entrambi.
Grattugiare il formaggio crea una maggiore superficie, consentendo al calore di permeare rapidamente per una fusione uniforme. I pezzi di formaggio grandi o irregolari si sciolgono a velocità diverse, possono fondere prima all’esterno e quindi cuocere troppo, oppure diventare grumosi o oleosi prima che l’interno del pezzo inizi a fondere.
Usare fuoco basso, così i cambiamenti graduali di temperatura e le temperature relativamente basse impediranno al grasso di separarsi dal formaggio che fonde. L’aggiunta di formaggio ad un liquido bollente può far coagulare la caseina troppo rapidamente, trasformandola in ammasso o filamento e spremendo il grasso. Per risultati ottimali, aggiungere il formaggio al termine del processo di cottura in modo che possa raggiungere ma non superare il punto di fusione.
Come evitare l’effetto filante quando si preparano fondute, salse, vellutate e zuppe.
Può essere evitato aggiungendo un vino secco o succo di limone al formaggio prima di fonderlo. Infatti, le ricette tradizionali di fonduta di formaggio prevedono l’utilizzo di vino bianco per prevenire la formazione di filamenti e ridurre viscosità e rigidità. L’acido tartarico del vino aiuta a impedire al fosfato di calcio di legare insieme le caseine del formaggio, prevenendo così la viscosità. L’acido citrico del vino o del succo di limone è ancora più efficace perché si lega al calcio e previene la consistenza filante anche nel caso estremo della mozzarella. Inoltre, Il vino e il succo di limone contribuiscono con la loro acqua a diluire le proteine e farle scorrere (A. Blake. Fine Cooking 133, 2015).
Provate ad aggiungere un po’ di succo di limone alla mozzarella tritata grossolanamente prima di aggiungerla ad una Pasta alla Caprese, rimarrete stupiti dalla cremosità che otterrete.
I vini migliori per una fonduta devono essere molto secchi, ad alta acidità e, se possibile, molto fruttati.
Questi vini hanno alte concentrazioni di acidi, tartarico, malico e citrico, molto bravi a sequestrare il calcio della caseina e ad aiutare il rilascio delle sue proteine costituenti, che a loro volta stabilizzano l’emulsione rivestendo le goccioline grasse (H. This. Molecular Gastronomy 2005)
Aggiungere amido di farina, maizena e fecola è una garanzia contro l’aggregazione e l’eccessiva viscosità di una fonduta di formaggio.
L’amido ricopre le proteine e i grassi nel formaggio fuso, impedendo alle proteine di aggregarsi e ai grassi di separarsi. Qualunque sia la ragione scientifica, sappiamo per esperienza che gli amidi possono mantenere le salse di formaggio lisce e permetterci di riscaldarle senza preoccupazioni.
Mescolare moderatamente perché un eccessivo mescolamento favorisce l’aggregazione delle proteine causando una consistenza fibrosa o grumosa.
Non raffreddare il formaggio prima di servire: man mano che si raffredda, il formaggio fuso riprende a solidificare.
Quando usare un formaggio a pasta filata.
L’uso in cottura di un formaggio come la Mozzarella, l’Emmenthaler e la groviera, produce una consistenza filamentosa, viscosa e rigida. Il fosfato di calcio contenuto in questi formaggi tende a legare le proteine per formare lunghi filamenti. La mozzarella si scioglierà ma non creerà una salsa liscia e cremosa come una fontina, un castelmagno o un Cheddar. Conserviamo la mozzarella per la pizza o gli gnocchi alla Sorrentina!
Saverio Santi
Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova