Quante volte ho letto e riletto i bellissimi libri di Mario Rigoni Stern.
Un giorno ebbi il piacere di incontrarlo a casa sua, grazie all’amicizia che Pippo, noto ristoratore dell’Altopiano, aveva con il grande maestro. Ricordo che prima di entrare in casa l’emozione mi annientò, sembrava un sogno. Ci furono altre occasioni in cui Mario mi consigliava come costruire un libro, ricordo che insisteva di fare sempre una scaletta prima di iniziare a scriverlo. Furono lezioni preziose, indimenticabili. Molti suoi libri descrivono l’Altopiano di Asiago come un vero paradiso terrestre, dove l’uomo si fondeva con la natura, con gli animali anche quando gli inverni erano lunghi e la miseria incombeva. Poi la grande guerra che ha scritto una pagina dolorosa della nostra storia. Poi il secondo conflitto mondiale, ancora distruzione e morte. L’uomo dell’Altopiano è sempre riuscito a risollevarsi nonostante l’immane tragedia di guerre assurde.
Devo ammettere che fino a pochi anni fa snobbavo un po’ l’Altopiano. Preferivo andare a sciare nelle Dolomiti, o d’estate andar per rifugi in alta quota. Cosa mi ero perso, e l’ho capito in questi ultimi anni. Tutto l’Altopiano è ricoperto da boschi secolari, ovunque panorami mozzafiato.
Camminamenti, trincee e malghe
Durante l’estate quando riesco a liberarmi dai molti impegni quotidiani, salgo e percorro i vecchi sentieri, i camminamenti e le trincee della prima guerra mondiale: ovunque si vada prima o poi incontri una malga dove da giugno a fine settembre le mandrie salgono, attraverso l’antico rito della transumanza, sugli alpeggi. Ce ne sono più di ottanta attive e ognuna di loro è un monumento alla cultura di montagna. Spesso mi fermo a chiacchierare con il malghese, l’ospitalità è sempre genuina, c’è sempre un bicchiere di vino, una fetta di polenta e un pezzo di formaggio. Si parla del tempo, delle stagioni che cambiano, di animali, di funghi, di cose semplici, che danno pace e che rafforzano un forte legame con questi luoghi.
Altopiano di Asiago, la comunità montana
L’alpeggio sull’Altopiano di Asiago ha storia antica. Esiste una testimonianza in forma scritta risalente al 983 dopo Cristo: un atto di assegnazione di terre destinate al pascolo. Da almeno dieci secoli, dunque, le praterie dell’Altopiano sono utilizzate con continuità dagli allevatori come risorse foraggere per mandrie e greggi. Oggi, mentre in molte parti delle Alpi, purtroppo, la tradizione dell’alpeggio è in crisi o – perlomeno – in forte contrazione, sull’Altopiano di Asiago si assiste ad una attività incessante e vitale. Le 87 malghe – 77 appartenenti alla Comunità Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni”, 10 della Comunità Montana “Dall’Astico al Brenta” – rappresentano infatti il più importante sistema d’alpeggio dell’intero arco alpino.
La quasi totalità del territorio che comprende queste malghe è di proprietà collettiva
Non delle singole persone, e nemmeno dei Comuni, che svolgono il ruolo di amministratori con un apposito regolamento. Le 87 malghe sono un bene collettivo, e vengono assegnate tramite un’asta che si svolge ogni sei anni.
E ad ogni asta, la domanda supera l’offerta. Perché il bene di queste malghe, disseminate come sentinelle tra i prati, i pascoli e i boschi dell’Altopiano – ha significato multiplo: è un patrimonio storico, naturalistico, architettonico, economico e turistico.
7775 ettari di pascoli, che vanno dai 700 metri a 2300 metri d’altitudine e 25.000 forme di Asiago prodotte ogni anno: in questi numeri si declina la grandezza di questo sistema, di questo patrimonio collettivo. Un unicum che racconta il rapporto continuo tra l’uomo e la natura. Perché – come scrive Gianbattista Rigoni Stern, figlio del grande Mario Rigoni Stern e funzionario della Comunità Montana in pensione – “alpi senza malghe, cioè senza pascoli, vuol dire solo boschi fino al limite vegetazionale degli alberi cioè oltre i duemila metri, vuol dire nessuna produzione di formaggi di grande qualità, vuol dire non più alternanza di boschi e pascoli, ma solo estese foreste, un territorio selvatico, difficile da affrontare per l’uomo”.
Testi: Alberto Marcomini
Foto: Paolo Castiglioni