Pantelleria Un viaggio nel Mediterraneo

Redazione |
24 Ott, 2020 |

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PANTELLERIA, la perla nera del Mediterraneo

Sono passati molti anni dalla mia prima volta nell’Isola di Pantelleria. Mi trovavo in vacanza in Sicilia presso uno zio paterno, quando un bel giorno decisi di andare a visitare proprio Pantelleria. Mi imbarcai a Marsala, il sole era alto, il mare calmo e il cielo azzurro e la traversata fu molto piacevole. Ad un certo punto notai all’orizzonte una sagoma scura che spuntava da un mare blu cobalto. Chiesi al Comandante cos’era, e lui sorridendo ad alta voce disse: “Quella è Pantelleria, la Perla Nera del Mediterraneo!!” Il fascino di quest’isola mi colpì fin da subito, purtroppo, il mio soggiorno fu breve, troppo breve, ma mi ripromisi di ritornarci.

E fu così, verso la fine degli anni ’90 ritornai, questa volta senza limiti di tempo. Durante il mio soggiorno conobbi i panteschi, apparentemente un po’ schivi, ma alla fine di una ospitalità deliziosa. Conobbi la Rosi, che mi fece da cicerone, Salvatore Murana, vignaiuolo di grande spessore, per lui la vigna è la sua vita; dormii nei Dammusi, assaggiai i prodotti coltivati nei piccoli appezzamenti, le zucchine, i pomodori, le melanzane, dai sapori unici che solo qui si possono trovare. Per non parlare dei capperi e dell’origano, e fu proprio grazie a questa erba aromatica dal profumo intenso, che conobbi Elio e la moglie Pia Rosa, proprietari del ristorante La Vela nel comune di Scauri, in riva al mare.

Assaggiai piatti straordinari, mi colpì però l’Insalata Pantesca la sintesi di quest’isola,

abbinata ai deliziosi vini di Salvatore. Mi racconta Pia Rosa questa bella storia italiana, ricordando con orgoglio suo padre. “Mio padre teneva una piccola barca ormeggiata nello scalo di Scauri ma ogni qualvolta doveva uscire e andare a pesca, doveva caricarsi sulle spalle per circa 500 metri tutto l’occorrente per l’uscita, tra cui motore, reti da pesca, ecc.. Cercava quindi un pezzo di terra dove costruire un riparo per la barca e l’attrezzatura. Agli inizi degli anni ‘70 gli capitò l’occasione di acquistare un terreno adiacente allo scalo dove non solo costruì il riparo per la barca, ma anche un villaggio. Nell’82 dà in affitto una parte ad un gruppo di amici che costituiscono il Circolo Vela con annesso un ristorante. Nel 1989 il circolo cambia ubicazione ed io rilevo la gestione del ristorante. Insieme a marito e figli con umiltà e serietà abbiamo cercato di rivalutare i piatti della nostra tradizione. Nel tempo le soddisfazioni sono state tante. Ricordo una telefonata di un amico che abitava a Londra che mi disse di aver letto in un quotidiano londinese di una classifica mondiale che suggeriva i 10 posti dove mangiare almeno una volta nella vita e in uno dei 10 c’era scritto proprio: ristorante La vela Pantelleria.“

PASSIONE ORIGANO – Splendore del monte
di Elio d’Aietti

 

Proprio lì a Monte Croce, dove nacqui, vidi la mia prima pianta di origano, cresciuta nel tufo rosso di quella kuddia (collina). Ricordo di un profumo fresco, potente e piacevole che ancora oggi mi accompagna quasi quotidianamente visto che ho una piccola piantagione. Accarezzarlo in primavera è una gioia, lui ti risponde con il suo profumo unico. Non ha bisogno di tantissime cure; vanno tolte le erbe infestanti che crescono in mezzo alla pianta e sui fianchi, una zappata e via. Di acqua non ha necessità, basta quel poco di pioggia ogni tanto. Poi arriva giugno, il tempo del raccolto.

Quando la fioritura volge al termine i rami vengono recisi e raggruppati in piccoli mazzetti che vengono appesi in un luogo all’ombra e ben ventilato per circa una settimana. Poi viene sgranato nelle ore più calde della giornata ed infine setacciato per togliere eventuali rametti, foglie e terra.

Si consiglia di conservarlo in un luogo buio, fresco ed asciutto in barattoli di vetro per meglio mantenere la sua fragranza. L’origano, spezia per eccellenza, non può mancare nella dispensa, può essere infatti usato per arricchire carni, pesce, verdure, sughi ed insalate.

TRADIZIONE ENOICA
di Enrico Pevarello

 

La prima volta che sentii parlare da Pantelleria fu negli anni ’80 attraverso l’incontro con un personaggio che ha fatto la storia del vino siciliano. Entrò nel mio locale a Padova Marco De Bartoli, il quale era solito girare l’Italia con un camioncino Volkswagen, dove si caricava i suoi preziosi prodotti: dal Marsala vergine ai vini di Pantelleria, giusto per farli conoscere ed apprezzare agli “amici”, così chiamava i clienti. La mia sorpresa fu grande, poiché io già conoscevo il mito di questo personaggio e lui, facendomi i complimenti per la mia selezione, mi fece notare che mancava proprio la Sicilia e fu allora che mi introdusse nel mondo del Marsala: prodotto storico della tradizione siciliana che lui, in particolare, aveva riportato ad altissimo livello attraverso una ricerca meticolosa dei Bagli più rappresentativi, dove si potevano ritrovare vecchi marsala. Oltretutto lui, figlio d’arte, aveva praticato questa insolita ricerca sull’origine del marsala, rifacendosi ai tempi 43 dei Woodhouse e dei Florio, nonché dei Pellegrino da cui discendeva. Non pago del successo del suo marsala, prodotto in Contrada Samperi, si interessò a Pantelleria.

Un’isola meravigliosa, lambita dal vento e ricca di mistero, colma delle sue origini arabe, fra Tunisia e Sicilia,

con varie denominazioni che ancora vengono citate nelle varie contrade che la compongono: Mueggen, Khamma, Bukkuram, che sono anche i nomi del più famoso vino di Pantelleria, il Passito, che ha la sua origine dal nome arabo zabib, il cui significato è proprio uva passa. Noi abbiamo tradotto questo termine in “zibibbo”, ma in maniera un po’ inappropriata, poiché il vitigno rimane il moscato d’Alessandria, dove il clima mediterraneo dona dolcezza e profumi inusitati.

Dicevamo delle varie zone dell’isola, Mueggen e Khamma, questi sono anche i nomi dei passiti di Pantelleria più famosi,

prodotti da un altro mito della storia pantesca: Salvatore Murana. La grandezza dei suoi vini parte anche da una coltivazione che ha nell’impianto ad alberello la sua espressione più tradizionale. Inoltre, la ventosità dell’isola obbligava ad un riparo per i vigneti, per questo possiamo notare dei muretti di pietra, che ben si abbinano alle antiche casette di pietra, i Dammusi, tipiche e storiche residenze millenarie.

Non possiamo però tralasciare altre tipicità dell’isola come il Cappero di Pantelleria,

una vera rarità gastronomica, utilizzato anche in meravigliose insalate di agrumi, meloni siciliani, uva passa e fiori di capperi. Una vera emozione di profumi e sapori mediterranei, quel dolce e salato che, una volta innaffiato da una spremuta d’oliva nocellara del Belice, ben si abbina anche ai dolcissimi passiti di Pantelleria che profumano di datteri, melone bianco, uva passa e mandorle tostate. Mi son lasciato trascinare, ma le emozioni non mi danno scampo e mi invitano a tornare in questa isola straordinaria.

 

 

 

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